L’orologio alla parete segna le 21.00. Solo una storia veloce e poi tutti i bambini filano a letto pensa l’anziano mentre si accarezza la lunga barba ammirando quelle piccole pesti che giocano intorno a lui. Chi l’avrebbe mai detto che avrei avuto tutto questo? riflette tra sé e sé. Spegne la luce e in un lampo attira l’attenzione di tutti. Come ogni sera.
“Shh” dice l’uomo saggio posando l’indice di fronte alla bocca. Tiene in mano una candela che illumina i volti dei piccoli radunati in cerchio attorno a lui. Si siede e con voce profonda inizia a raccontare.
“C’era una volta un bosco stregato dove tutto era cupo. Un essere malvagio aveva infuso un tremendo sortilegio: voleva che tutti vivessero soli in eterno. Aveva minacciato gli alberi e con la cattiveria li aveva convinti a privare il bosco della luce per impedire agli esseri viventi di vedersi. Le radici grosse e scure si alzavano dal suolo formando deformi e accidentati percorsi. I rami lunghi e contorti avvinghiavano case, chiese, palazzi e ponti e rendevano tutto buio.
Ma, anche se non si vedeva più il sole, gli esseri umani riuscivano ad incontrarsi.
Una volta scoperti il malvagio andò su tutte le furie e trasformò tutti in strane e spaventose creature. Erano talmente brutte da non voler più stare gli uni accanto agli altri. Il malvagio era riuscito nel suo intento. D’un tratto non si sentivano più gli uccelli cantare. L’oscurità aveva preso il sopravvento. Le creature restavano in silenzio, annusavano l’aria e scappavano appena sentivano avvicinare qualcuno. Tutti avevano paura delle conseguenze delle parole e stavano nascosti altrimenti l’essere malvagio…”
“Altrimenti?” domanda curioso un piccolo ascoltatore.
Il saggio fa’ passare sotto la barba bianca il pollice allargando gli occhi in una smorfia di dolore.
“Oh no!” urlano sbigottiti i bambini.
L’anziano prosegue: “Un giorno un vigoroso Centauro trottava nel bosco. Il manto rossiccio del suo corpo da cavallo si stagliava veloce tra i rami. Un tempo era un giovane attraente. Le sue lunghe ciglia incantavano le ragazze della foresta. Purtroppo la magia aveva trasformato la sua bellezza in un’ombra di malumore. Era furente a causa di una vita che non aveva scelto e si sentiva prigioniero in un corpo che non era suo.
Perché il malvagio ha trasformato tutto? Perché nessuno fa’ niente per cambiare le cose? Perché posso avere solo zampe per correre quando avrei voluto viaggiare in tutto il mondo sfrecciando sulla mia macchina o costruendo aerei? si chiedeva il Centauro.
Impavido si muoveva senza prestare attenzione al rumore dei suoi zoccoli. Correva a perdifiato per svagare la mente. Saltava gli ostacoli e galoppava sempre più veloce fino a quando, stremato, si rese conto di non avere più energie. Fu allora che alzò lo sguardo da terra e vide qualcosa in lontananza, ma non capiva. Si avvicinò piano piano. I rami degli alberi coprivano solo in parte quella che sembrava essere una casa molto bizzarra. Non vedeva una cosa come quella da secoli.
Se fosse una trappola? si chiese. Esitando un po’ lasciò il bosco alle sue spalle per visitare la casa.
Dentro a quelle mura era tutto come prima del sortilegio. La polvere copriva ambienti e oggetti a lui familiari. Un brillio attirò la sua attenzione e si mosse verso quella direzione. Fu lì, di fronte a quel quadro, che il suo mondo cambiò.
Quei piccoli e vispi occhi gli rubarono i pensieri. Sembrava una dama rinascimentale. Le gote arrossate e una folta chioma di ricci impazziti incorniciavano il sorriso sincero della ragazza.
Possibile che un quadro antico mi sembri così vivo? si chiese il Centauro scrutando da vicino la tela. Rimase ad osservare la donna ritratta per ore. Era davvero bella.
Senza rendersene conto le parlò tutto il tempo. Sfogò a suon di parole la sua rabbia. Non gli importava del sortilegio. Le parole erano un fiume in piena e riuscirono a placare il senso di vuoto che sentiva. Quando uscì dalla casa non seppe stare troppo tempo distante dal quadro e così ritornò. Era tanto che non comunicava con qualcuno e davanti a quegli occhi sentiva di potersi confidare. In un mondo governato dalle paure finalmente il Centauro non si sentiva più solo”.
“Ma è matto? È solo un quadro!” interrompe scettico un bambino con l’approvazione degli altri piccoli ascoltatori.
“Piccolo mio devi sapere che anche la ragazza del quadro era vittima dell’essere malvagio. Infatti il giorno della stregoneria la giovane venne imprigionata nella tela e da allora non poté più uscirne.” continua il vecchio. “Emi era una giovane frizzante, appassionata e pronta a diventare una donna di successo. Aveva progettato lei la casa bizzarra in cui viveva. Ma a causa del sortilegio non le venne più data occasione di vedere fuori dalle sue mura. Le mancava tutto della sua vita: il caldo del sole, i lunghi e rilassanti bagni, le chiacchierate nelle ore notturne. Si trovava lì, incorniciata al freddo, tutta sola, con l’umidità che gelava la tela senza sapere per quale assurda ragione fosse imprigionata in quella casa.”
“E lei era contenta di vedere qualcuno dopo tanti anni?” domanda un bambino sdentato.
“La prima volta che vide il Centauro, Emi si spaventò a morte.
Chi è questo? Cosa vuole da me? Mi farà del male? si domandava Emi sperando di non essere scoperta. Tratteneva il respiro per sembrare finta, temeva quella strana figura. Tirò un lungo sospiro di sollievo quando il Centauro se ne andò ma purtroppo si accorse che era ostinato e ritornava spesso.
Ogni volta che udiva gli zoccoli assumeva l’ordinata postura del primo giorno. Fingeva di essere impassibile ed imparò ad ascoltarlo. Le parole del Centauro le rivelarono grandi segreti e capì i cambiamenti avvenuti. Scoprì che i timori e la sensazione di inadeguatezza del Centauro erano simili ai suoi. Tante cose li accomunavano ma Emi non aveva il coraggio di rompere la magia che si stava creando tra loro. Non ricordava più come si faceva a rendere qualcuno parte unica della propria vita. Così rimaneva in silenzio anche se l’incontro con il Centauro era il momento della giornata che preferiva.”
“Povero Centauro lui le dice tutto e lei niente!” sbotta una bambina con le codine.
L’anziano alza gli occhi al cielo pensando che i bambini non lo faranno terminare mai.
“Infatti arrivò il giorno in cui il Centauro disse «Questo è il nostro ultimo incontro. Sono venuto a salutarti. Quando sono qui con te mi sento un’altro, sto bene, sono senza pensieri. Però appena me ne vado mi sento più solo di prima e mi sembra di aprire nuove ferite senza mai riuscire a rimarginarne alcuna. Questa vita non ci appartiene. Non l’abbiamo scelta. Siamo stati costretti alla solitudine perenne e forse è meno dolorosa di questo rapporto che non potrà trasformarsi in realtà.»
Emi si rese conto che stava per perdere l’occasione di rendere entrambi felici. Per la prima volta urlò verso la creatura che se ne stava andando «Non andare, resta con me!»
Il Centauro non poteva credere alle sue orecchie «Vuoi forse dirmi che tu…?» mormorò voltandosi.
«Io sono Emi» disse sfoggiando il suo miglior sorriso «nella vita vera non sarei un quadro e finalmente ho capito che non ho paura delle conseguenze. Non mi importa del malvagio e delle sue punizioni, voglio solo che tu stia qui perché insieme abbiamo tanto con cui poter sognare…»”.
Nello stesso frangente si spalanca la porta e viene accesa la luce.
“Bambini è ora di andare a dormire!” comanda una dolce signora con i capelli color argento.
“Emilia non abbiamo ancora finito la storia…” la supplicano in coro i bambini.
“Luca i patti erano altri…” risponde guardando i grandi occhi del marito illuminati dalla candela.
“Siediti accanto a me e racconta loro il finale!” le risponde tendendole la mano.
“Sì, Emilia raccontaci il finale!” urlarono in coro i bambini spegnendo la luce.
Emilia attende qualche secondo e poi riprende le fila della storia.
“Nel bosco accadde qualcosa di magico. Emi raccontò al Centauro di avere in un cassetto una vecchia macchina fotografica. Il Centauro ne era appassionato, la prese e mettendosi vicino al quadro scattò una foto. Il flash sprigionò una luce abbagliante che ruppe l’oscurità.
La luce diventava sempre più intensa. Sembrava che un bene superiore la volesse più luminosa che mai. D’improvviso il caldo del sole, la brezza del vento e il canto degli uccelli cambiarono l’ambiente. Gli alberi erano tornati ad abbellire l’ambiente. Il male era stato sconfitto! Il bosco era di nuovo un luogo luminoso e allegro. Emi non era più incastrata in un quadro ed era abbracciata a un uomo che raggiante guardava la loro trasformazione.
«Ora cosa facciamo?» le domandò lui.
«Andiamo a testimoniare questa verità!» rispose lei perché insieme avevano capito che l’amore illumina e rende anche il buio più cupo una notte stellata. Da loro nacque un amore capace di trasformare la solitudine in compagnia, il silenzio in parola, la tristezza in felicità. Un amore in grado di creare una comunità accogliente per grandi e piccolini….”
“Come questa?” chiede un bimbo.
“Chissà…magari è proprio la nostra comunità. Ma questa è un’altra storia!”