Il mistero svelato

Si sporse dalla piccola fessura che faceva entrare aria nel castello. Il tramonto colorava con magnifici toni rossastri il cielo sopra di lui. Rimase in silenzio, respirando la brezza serale, in attesa del cambio delle guardie. Sapeva che non lo avrebbero scovato. Era cresciuto in quel castello e all’ora di cena i guardiani erano sempre più interessati al richiamo del loro stomaco piuttosto che ai pericoli circostanti. Se avessero prestato attenzione avrebbero notato un ciuffo di capelli a spazzola che danzava nel cielo al ritmo dettato dal vento. Invece stavano sotto il suo naso a scambiare battute pregustando il riposo serale.
Don-don il suono sordo e acuto della campana della chiesa decretò il suo momento. Avrebbe avuto poco tempo, una manciata di secondi, per lasciarsi una vita intera alle spalle e scappare verso nuovi orizzonti.
Il cielo gli aveva svelato che il suo momento era arrivato. E lui credeva nel cielo perché non gli aveva mai mentito. Strane nubi avevano predetto importanti cambiamenti. Un miscuglio di trame, forme e consistenze gli avevano fatto capire che da quel giorno la sua vita non sarebbe stata mai più la stessa. Qualcosa di nuovo era in arrivo e lui sarebbe diventato chi sognava d’essere.
Prese la sua sacca, la strinse forte al petto consapevole della delicatezza del contenuto, attese che le guardie mettessero piede nell’atrio d’ingresso e agile come un cervo saltò dalla finestra alla torretta, si calò con una lunga fune al suolo e corse. Corse a perdifiato fino ad essere inghiottito dall’oscurità del bosco.

“Aprite aprite!” urlarono sbattendo pesanti pugni sulla porta.
“Chi va là?” interrogò spaventata la levatrice brandendo una scopa come fosse una spada.
“Aprite… mia moglie… è il momento!” farfugliò l’uomo dietro al pesante portone di legno.
Ecco ci risiamo pensò la levatrice rimpiangendo il piatto che da lì a poco avrebbe gustato. Sembrava che i nascituri del feudo avessero impostato una sveglia biologica per interrompere i suoi pranzi.
“Dove andiamo?” domandò aprendo la porta con un tono allegro. Davanti a lei trovò un contadino grande e grosso che tremava come una foglia.
“Per di qua…” rispose lui impacciato.
“Vedrete, il primo non si scorda mai…” rispose la levatrice strizzando l’occhio all’uomo che perso nei suoi pensieri non colse l’ironia.
Uscirono dal feudo e dopo un’ora di cammino la levatrice iniziò ad innervosirsi. Aveva gambe lunghe abituate a saltare velocemente da un’abitazione all’altra. Ma quel contadino era lento come una lumaca e per di più non le rivolgeva nemmeno una parola.
“Un altro po’ e arriveremo che avrà compiuto la maggiore età il vostro bambino…” disse all’uomo che perso nel suo mondo nemmeno si accorse che la levatrice gli stava parlando.
“Scusate, ma un carro? Un mulo non potevate portarlo? Per quanto tempo cammineremo ancora? Verso quale feudo ci stiamo dirigendo?” chiese al contadino che ancora una volta sembrava immerso nei suoi pensieri.
La levatrice si puntò davanti a lui. “Mi prendete in giro? Vedete di darmi una risposta questa volta altrimenti vi giuro che mi fermo qui!” sbraitò decisa.
“Mi scuso. Ho molti pensieri per la testa. Il nostro villaggio è stato assediato tempo fa. Hanno incendiato case e fienili, distrutto coltivazioni e allevamenti. I superstiti se ne sono andati ma mia moglie non voleva perché le è sempre piaciuta la collina in cui è nata. Diceva che i suoi figli sarebbero cresciuti in quel posto e così ha voluto fare. Ci hanno portato via tutto. L’unica cosa che è rimasta è un abbozzo di casa che sto finendo di costruire…”
“Disgraziati…sarebbero tutti da giustiziare!” sentenziò la levatrice animando il suo spirito combattivo.
“Non faremo mai giustizia purtroppo…” rispose rammaricato il contadino.
“Perché dite questo? Creeremo una legione di sopravvissuti, andremo alla ricerca di quei farabutti e otterremo un risarcimento per il male che avete subito!”
Il contadino si soffermò a guardarla. Era accaldata e sprigionava un’energia battagliera.
“Lo sapete quante donne assisto in situazioni familiari degradate dove regnano i soprusi? Centinaia ogni anno.” continuò la levatrice notando lo sguardo interrogativo del compagno di viaggio. “È ora di dire basta, dobbiamo difendere i diritti di tutte le persone per bene che si danno da fare e che di punto in bianco si trovano spodestate di tutto.” disse solennemente la lavatrice.
“È un pensiero nobile ma non credo riusciremo a smuovere un granello in nostro favore” rispose senza speranza il contadino.
“Cosa ve lo fa pensare?” chiese amareggiata.
“Dovete sapere che molti anni fa si sono perse tracce del principe al castello. In un primo momento la regina fece setacciare il regno. Senza trovarlo affisse agli alberi di tutta la contea di Veròne una targa con promessa di ricompensa ma nessuno si fece avanti. Allora pagò investigatori privati per rintracciarlo ma ancora una volta nessuno seppe darle risposte. Giunse alla conclusione che qualcuno l’avesse rapito per questo fece irruzione con i suoi cavalieri in tutti i villaggi limitrofi. Interrogò contadini, pastori e allevatori in cerca del figlio scomparso. Se non riceveva risposte dava ordine di appiccare il fuoco credendo così di ottenere indizi. Ma in tutti i villaggi nessuno proferiva parola. Sembra che il principe sia letteralmente scomparso…”
“Un vero mistero…chi potrebbe averlo rapito?” chiese curiosa mentre il suo lato investigativo prendeva il sopravvento.
“Chi lo sa… taluni mormorano che non sia stato rapito ma che sia scappato. Corre voce che la stanza del principe sia stata trovata con la porta chiusa dall’interno, la finestra aperta e una fune calata fino al terreno. Gli indizi parrebbero mostrare una fuga. Ma sapete, sono solo voci…” continuò il contadino.
“Un principe che scappa da un castello?” disse ad alta voce la levatrice “dovete ammettere che la combinazione sembra al quanto curiosa…azzardata… a tratti impensabile!” ragionò ad alta voce cercando di immaginare quali nascoste ragioni possano spingere una persona che gode di ogni bene a mettersi nei guai di questo mondo.

I cavalli trainavano lentamente la carovana sui colli deserti. La Compagnia teatrale avanzava unita fantasticando su quanti quattrini avrebbero guadagnato nei prossimi mesi. L’ultima rappresentazione teatrale, con quei colpi di scena, aveva fatto impazzire le corti dei Signori che chiedevano le repliche e pagavano ingenti somme. D’un tratto il cocchiere fece eco ai cavalli di fermarsi.
Il vecchio regista attaccandosi alla ruota anteriore interrogò l’amico.
“Per tutti i Santi quanti fiaschi di vino hai bevuto per fermarti in mezzo a questo nulla?”
Il cocchiere squadrò il vecchio compare.
“Ma quale vino e vino! Questo è il punto che il tuo artista dai mille talenti ha segnato sulla mappa, guarda!” rispose.
Il vecchio salì sulla carovana, strappò dalle mani la mappa e se l’avvicinò al naso. Con stupore vide che un cerchio rosso contraddistingueva la Contea di Veròne.
“Per tutti i Santi!” sbraitò. “Il ragazzo deve essere impazzito, qui non v’è nulla!” e rimirando il panorama intorno a sé pensò che il suo artista doveva avere qualche rotella fuori asse. “Voi andate in perlustrazione, noi lo attenderemo qui…” ordinò ai musicisti e agli attori mettendosi comodo ad aspettare l’artista che aveva dato lor appuntamento nella ridente contea.
“Avrei dovuto capirlo da principio che era matto…se non avesse le sue abilità forse non ci sarei cascato…” borbottò il vecchio regista.
Avevano incontrato l’artista dai mille talenti in mezzo al bosco diversi anni prima. Nonostante fosse sporco e puzzolente parlava bene. Era emaciato, magro e gli occhi erano cerchiati da una velatura rossastra. Non mangiava e dormiva da diversi giorni, era evidente, ma appena vide la carovana sembrò illuminarsi. Si interessò alla vita della Compagnia, agli spettacoli, alle rappresentazioni annuali. Disse che ci sapeva fare e che lavorava come menestrello di corte. Tutti lo guardarono storto pensando si trattasse di un poveraccio qualunque in cerca di un tozzo di pane e di un bicchiere di vino. Si fece imprestare un clavicembalo da un musicista e intonò alcune rime scherzose. Riusciva a ironizzare sui dettagli di corte in modo inaudito, così reale e innovativo che tutti scoppiarono in fragorose risate. Il regista pensò che quelle strofe sarebbero state preziose se scritte in un copione teatrale. Così invitò il giovane ad unirsi alla Compagnia e senza pensarci due volte il ragazzo si trovò a camminare insieme a nuovi compagni d’avventura… sembrava che il suo sogno si stesse realizzando.

Il giovane era stato un regalo del cielo per la Compagnia teatrale. Il suo spirito, il linguaggio curato e la modalità unica di far ridere le persone permise al regista di mettere su carta un copione vincente, apprezzato dalle corti signorili. Ma il ragazzo era anche un abile carpentiere capace di assembleare i più diversi elementi per costruire cose che diceva “Solo gli amanti di scienza possono davvero apprezzare!”.
Aveva lavorato per giorni e giorni senza alzare la testa dal suo marchingegno. Un pomeriggio il regista tolse il telo che il giovane usava per coprire la sua invenzione.
“Che spavalderia è mai questa?” domandò esterrefatto al ragazzo.
“Una macchina, che domande!” rispose ridendo della reazione altrui.
“Una macchina? A cosa serve?” proseguì borbottando il vecchio incapace di concepire lo strano macchinario.
Il giovane non rispose e l’azionò. Il vecchio regista fece un salto indietro meravigliandosi che senza animali da traino l’oggetto era in grado di spostarsi.
“A rendere il futuro reale…” rispose alla domanda il giovane pensando a quella volta da bambino in cui si era nascosto dalla famiglia per osservare i disegni di una macchina elaborati da uno scienziato toscano. Balia e servitori l’avevano cercato in ogni dove e quando fu ritrovato gliele avevano suonate di santa ragione. Ma a lui non importava perché nella mente aveva impresso ogni linea. Da allora disegnava modellini di macchine sempre diversi immaginando il giorno in cui avrebbe realizzato il primo modello. Quel momento era davvero unico. L’invenzione non passò inosservata dalla Compagnia che soprannominò il ragazzo l’artista dai mille talenti e decise di utilizzare anche questa dote del giovane per mettere in scena una rappresentazione con effetti scenografici unici.
Le stagioni passarono e l’artista divenne un uomo. Insieme a lui la Compagnia guadagnò fama nazionale.

Arrivò in sella alla macchina che considerava il suo destriero: un archibugio di ferro e legno enorme che lo rendeva fiero e spavaldo. Vide in lontananza la carovana e si chiese dove fossero tutti i musicisti e gli attori. Una voce lo fece tornare subito alla realtà.
“Ti è andato in pappa il cervello? Qui non c’è nulla!” urlò il regista dalla carovana vedendolo arrivare.
L’artista non capiva. Quella era una delle contee più prospere del regno…cosa era successo?
“Io, io …” balbettò guardandosi intorno.
Non fece in tempo a proseguire che un urlo squarciò il silenzio intorno a loro. Alcuni musicisti corsero verso la carovana facendo cenno al vecchio di seguirli perché avevano bisogno di aiuto: una donna sola e impaurita stava partorendo e nel nulla solo loro potevano assisterla.

Si stupirono di vedere vicino alla piccola abitazione una carovana colorata accompagnata da gente vestita in modo bizzarro. Il contadino spalancò la porta e videro che il più del lavoro era stato fatto.
Uno sconosciuto era indaffarato ad attizzare fuoco per scaldare l’abitacolo. La donna stremata custodiva il neonato tra le braccia guardandolo incantata. Il contadino non riuscì a trattenere l’emozione e rimase inerme ad osservare mentre la levatrice si fece spazio e avvicinandosi alla donna controllò la salute di madre e figlio.
“Ottimo lavoro!” disse picchiettando una mano sulla spalla dell’uomo. “Non penserete di rubarmi il mestiere, vero?” continuò la levatrice sorridendo all’uomo che trovava di fronte.
Rimase affascinato dalla sincerità con cui quella donna si relazionava. Aveva distanziato le donne dalla sua vita perché nella Compagnia teatrale non ce ne erano e quando terminava gli spettacoli evitava di farsi coinvolgere nelle civetterie femminili per poter preservare la sua identità. Ma lei aveva qualcosa di unico che la differenziava dalle altre. Era curioso di sapere di più sul suo conto ma non ne aveva la possibilità perché la levatrice prese a fare il suo lavoro accudendo la puerpera e prendendosi cura del piccolo.
Il buio era calato nella contea di Veròne così la Compagnia scelse di accamparsi per la notte. L’artista cercò la sua preziosa sacca che nascondeva sotto delle assi smosse della carovana. Quando tutti furono colti dal sonno si spostò in solitaria per osservare le stelle. Solo di fronte all’immensità della notte prese il suo prezioso contenuto. Glielo aveva regalato un commerciante straniero in gran segreto quando era solo un fanciullo. Il commerciante gli disse che aveva visto la sua aurea e sapeva che allenandosi sarebbe stato in grado di leggere il cielo e conoscere con chiarezza i fatti. Il cannocchiale era l’oggetto a cui teneva di più al mondo! Con delicatezza lo rivolse verso l’alto e appoggiandolo all’occhio rimirò le stelle. Sapeva che gli avrebbero svelato qualcosa di più sulla levatrice che aveva incontrato.
Posso fidarmi di lei? Farà parte di un complotto architettato? Sono libero di essere me stesso? chiese l’artista al cielo.

“Medico, astrologo, musicista…cos’altro deve aspettarmi da Voi, messere?” domandò la levatrice alle sue spalle.
Il giovane si spaventò e il cannocchiale rischiò di cadere rompendo la lente. L’espressione a tratti impaurita ed arrabbiata del giovane fece ridere la levatrice che proruppe in una squillante risata. A quel suono l’artista capì che non doveva temere e che sopra di lui le stelle benedicevano quell’incontro.

Fu il primo giorno di molti a seguire. La levatrice aveva scelto di assistere la donna fino a quando non fu in grado di badare da sola al bambino. L’artista convinse la Compagnia a fermarsi qualche giorno in più con la scusa che la sua macchina doveva riposare. Colse ogni momento per restare solo con la levatrice, raccontarle i suoi sogni e le avventure che sperava di vivere. Insieme diedero vita a numerose scenette umoristiche per alleviare le fatiche della famiglia che li ospitava. Il regista propose alla levatrice di unirsi a loro nei viaggi futuri ma lei sapeva che il suo posto non era sui palcoscenici ma tra le case della gente. Così il vecchio trascrisse ogni battuta per le future rappresentazioni della Compagnia. Insieme erano una forza unica!
Durante una cena i commensali chiesero alla donna e al contadino cosa aveva trasformato la contea di Veròne in un cumulo di macerie.
Il contadino raccontò per filo e per segno quanto aveva già narrato alla levatrice. Più il contadino parlava più l’artista si incupiva e d’un tratto, senza finire la sua zuppa, si scusò ed uscì a prendere fiato.
“Perché?” urlò calciando il secchio davanti a sé.
“Vuoi parlamene?” chiede dolcemente la levatrice che aveva il potere di sorprenderlo sempre.
Si chiese cosa fare. Aveva tutto da perdere ma non riuscì a trattenersi. Dopo anni di verità celate aveva bisogno di essere sincero.

In quel momento la levatrice scoprì che nessuno aveva rapito il principe dal castello ma che era scappato da solo in cerca della sua libertà. Aveva scelto di rincorrere i suoi desideri e negli anni aveva custodito un segreto che aveva danneggiato interi villaggi.
“Ora non mi vorrai mai più vedere…” disse distrutto dal dolore alla levatrice.
Lei cercò di immaginarlo nelle stanze reali pieno di progetti da dover mettere nel cassetto. Lo guardò a fondo. Era diventato un uomo pieno di ingegno, capacità e soddisfazione. Così gli prese il volto tra le mani e lo baciò con tutto l’amore che sentiva di potergli dare.
“Voglio vederti tutti i giorni a venire ma hai un conto in sospeso da sistemare…” rispose la levatrice.

Insieme alla levatrice il giovane sentì che la sua vita era piena come le stelle gli avevano predetto.
Fece pace con il suo passato e il regno festeggiò il suo ritorno. Il castello si animò di nuova vita e i regnanti regalarono cibo, animali e semi al popolo ricostruendo i villaggi delle contee limitrofe. La Compagnia di teatro divenne la prima compagnia del regno e sul sipario di scena fu stampato lo stemma reale. La levatrice continuò imperterrita a camminare a lunghe falcate tra un feudo e l’altro immaginando il futuro dei bambini che faceva venire al mondo.
Anche il principe immaginava il suo futuro e gli astri guidarono il suo cammino. In sella al suo destriero meccanico guidò la levatrice verso l’orizzonte e sentendola ridere ebbe la certezza che insieme potevano vivere liberi seguendo le loro passioni.

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